in questo momento dove fare i corsi di introduzione diventa sempre più complicato e che mi trova in completo disaccordo con la Scuola di Speleologia del CAI nella gestione dei corsi sezionali, posto una riflessione di Mayo apparsa su Speleoit………..al di là delle considerazioni sulla età degli esploratori che sono opinabili il ragionamento merita attenzione e discussione a voi buona lettura.

> Noto anche che sempre più gli allievi dei corsi hanno una media di età
> compresa tra i 30 ed i 40. Ovvero la loro capacità esplorativa è già al
> limite fisico …

Già. Abbiamo le esplorazioni sempre più lontane dalla superficie, a
tante ore, in posti in culo al mondo, e i “giovani” sono sempre più vecchi.
Il che è un problema, perché quando i “vecchi” avevano 30 anni e i
“giovani” ne avevano fra 16 e 25, si poteva andare più lontano.

Ricordo quel tempo. Avevo 18 anni e i miei “vecchi” ne avevano 28!

Avere dei “nuovi” che hanno la mia età significa che a) sono già un po’
acciaccati, b) spesso hanno famiglia e altre priorità nella vita.

> Siamo sempre più bravi con i corsi a parlare del proteo o dei flussi
> meteorologici sotterranei ma sempre meno a spingere verso l’avventura e
> l’esplorazione pura.

A me pare che siamo mediocri anche nell’insegnare la scienza.

Molti di noi lavorano per un futuro di escursionisti, certificati,
abilitati, assicurati.

Per fortuna gli Esploratori esistono per natura e se ne fregano di
istituzioni, corsi, regolamenti.

Quelle cose servono da pretesto per dare una patacca a qualche
frustrato, rivestendo tutto con termini come “qualità” o “cultura” o
“sicurezza”.

In altri casi servono a guadagnarci qualcosa, magari per vivere, il che
è sacrosanto e chi ne discute, ma solo finché non mi tarpa le ali del
mio dilettantismo.

L’esploratore sa che per entrare ed uscire vivo da -1000 deve essere
bravo nella tecnica.
Non deve sbagliare, perché non è detto che si esca vivi se ci si fa
male, nonostante l’enorme capacità del soccorso. E poi soccorrere è
pericoloso e meno li metti in pericolo e meglio è.

Ma l’esploratore sa anche che quello della tecnica è uno strumento. Non
è il fine unico, non è lo scopo della sua vita.
Lo scopo è arrivare dove gli altri non sono mai stati prima!

Come si fa il nodo a pippa di pipistrello? E’ un dannatissimo strumento
per attraversare luoghi e uscirne vivi. Punto!

Uno è esploratore dentro. Se non troverà terreno fertile nei gruppi
speleo, andrà altrove.

E’ quello che ho visto accadere tante volte, frequentando diversi gruppi
perché sono un peripatetico, inteso come esercente la prostutuzione
speleologica.

Arriva uno che ha il sangue che bolle e gli si offrono gite in grotte
già note. Ottimo per insegnargli a muoversi ed a usare correttamente
corde e attrezzi.

Poi altre gite nelle solite grotte, per accompagnare gli scout, la
scuola, la parrocchia, i disabili, mia nonna, mia zia … fosse almeno
una nipote gnocca, macché.

Oppure gli si prospetta un vero e proprio “cursus studiorum” che sembra
fine a sé stesso.

E quello col sangue che bolle va a fare un corso di altro e lo perdiamo.
Non siamo riusciti a fargli capire la differenza fra fare speleologia e
andare a fare monotiri in falesia o immersioni sulla barriera corallina.

Se invece uno trova terreno fertile, fa speleologia esplorativa, ottiene
risultati bellissimi che ci rallegrano, e vabbé, magari sarà un po’
selvatico e polemico, ma finché esplora gli si perdona tutto. Pur se
sono grezzi sono sempre …

Mayo