Chi sarò quando uscirò da qua?
E’ vestito con i soliti abiti da lavoro. Ha i calli alle mani e i muscoli indolenziti, è da giorni che non dorme ma con gioia e passione continua ad affrontare quella pietra, nuda e che, per quanto dura, pesante e immobile, si sta modificando sotto le sue mani, alleggerita e smussata nei suoi angoli. Ai suoi piedi, abbandonati in terra, giacciono una miriade di suoi disegni, distribuiti in un perfetto disordine artistico.
Su uno di questi si intravede una figura ….
Con eccezionale maestria adopera scalpello e subbia, liberando di volta in volta quella figura imprigionata nel marmo, la sveste, la tira fuori. E’ sudato e stanco, in fondo sa che questa pietra non perdona.
La cadenza ritmata dei colpi viene rotta dal frastuono di un crollo improvviso e un tonfo cupo, buumh … tutto trema nella sua piccola bottega, il calice di vino rosso si rovescia su un tavolino e lo scalpello cade. Incuriosito Michelangelo si porta alla finestra, anche per prendere una boccata d’aria e gli si apre davanti uno scenario latteo e gelido: un’ enorme fabbrica a cielo aperto. Potenti macchine escavatrici sventrano senza sosta la montagna; muletti e altri strani congegni si muovono frenetici e spietati e dietro le quinte un via vai incessante di camion. Attimi di smarrimento per l’artista che qui ha casa. Volgendosi verso la sua opera, ora ci vede chiaramente quella figura abbozzata nei suoi disegni….si tratta di un cavatore morto, che giace inerme, tra le braccia di sua mamma. Si avvicina alla donna e fa scivolare le dita sulle sue guance appena sbozzate, ancora coperte da un velo di polvere bianca, piacevole e lieve come la farina. Le asciuga le lacrime e le accarezza il volto. L’anima di quel giovane cavatore gli stava raccontando qualcosa di lui, della sua terra e quel qualcosa aveva per Michelangelo un senso profondo e terribilmente inaspettato. In quella Pietà era racchiusa la vera essenza che sfida ogni Tempo.
Abbandoniamo la frescura del Corchia e l’aria calda e profumata di luglio ci entra subito nelle narici. E’ notte fonda e tutto tace intorno a noi. Il mio sguardo corre lontano. Da quassù, dalla Buca del Serpente, mi lascio incantare dal panorama che mi si apre davanti. Vedo il Mare, spettatore affezionato a queste montagne, mi guarda. Stanotte veste un prezioso manto d’argento che sbrilluccica sotto gli occhi innamorati della Luna. Sembra calmo e, silenzioso, si lascia attraversare dalle navi, forse piene dei marmi rubati alle Apuane. Questo mare, a me così caro, si rivela ora complice dell’irrequietezza umana. Sono stanca e per un attimo un brivido mi percorre la schiena e penso agli occhi di quel cavatore, ai monti di Michelangelo, i Lunae Montes, nati dal mare e che per mare se ne vanno portati via dal progresso e dalla civiltà. Quei marmi sono adesso un puntino sempre più piccolo…piccolo…e forse non torneranno più. Una malinconia che mi stordisce e spinge i miei pensieri ad innestare il discensore e a calarsi nelle viscere della Terra…
Lo scenario è insolito e fiabesco, un mondo incantato dove tutto è governato dalla maestosità e dal mistero. Lentamente mi calo nel pozzo della Gronda e mi lascio avvolgere dalla sua affascinante imponenza. La discesa in questo vuoto mi leva il fiato, è spettacolare. Man mano che mi avvicino alla base, il canto dell’acqua giunge alle mie orecchie. E’ una bellissima cascata che danzando si infila in un meraviglioso meandro modellato nel marmo. Con i miei compagni di viaggio, ci uniamo a questa danza e seguiamo i suoi passi tra piccoli saltini, semplici corrimano e strettoie non troppo complicate. E’ un viaggio nelle vene d’acqua del Corchia, forse il suo più grande tesoro. Tutto è talmente surreale e meraviglioso.
Le acque di quel mare cosi calmo, hanno partorito un sistema carsico che si estende per circa settanta chilometri e noi ne stiamo attraversando il Tempo. Ma qui Tempo e Spazio non hanno dimensione.
La Natura continua ad offrirci dimostrazione della sua grandezza catapultandoci all’imbocco dello splendido pozzo a Elle, un enorme tubo alto oltre quaranta metri. E’ emozionante. Ha una partenza molto esposta e circa a metà un pendolo interessante. Mi propongo di armare l’Elle e con le dovute attenzioni cerco di allestire un armo semplice e comodo per i miei compagni di viaggio che su quella stessa corda si caleranno tra un paio di minuti.
Nell’attesa che gli altri giungano alla base, mi ritaglio un momento per guardarmi intorno e lo spettacolo è disarmante: un’esplosione di concrezioni che nei pressi di laghetti, corsi d’acqua e piccole cascate, creano giochi cromatici di rara bellezza.
Ci accoglie uno scenario di volta in volta diverso e non meno straordinario, lampadari di stalattiti e capelli d’angelo pendono dai soffitti, morbidi drappi di vele nascondono preziose quinte scenografiche e il tutto si dispiega in maestosi saloni sorretti da notevoli colonne: è un vero Tempio sacro.
Seguiamo il condotto principale e prima di salire verso la zona fossile ci soffermiamo sulla spiaggia di sabbia che incornicia una serie di specchi d’acqua. Una foto di gruppo?
Immobili!Sorriso!
Con questa immagine chiudo l’esperienza nel Corchia, qui dove la mia mente ha provato ancora una volta la vera Libertà, la stessa Libertà che Michelangelo ha donato al giovane cavatore imprigionato nel marmo …. rimonto maniglia e croll e mi preparo a risalire verso l’uscita.
Chi sarò quando uscirò da qua?
(59° Corso Nazionale di Tecnica – 16/24 Luglio 2016 – Levigliani)
Paola B.S.
bellissima storia!
tu scrivi…Ma qui Tempo e Spazio non hanno dimensione…
pentrite scrive …e noi umani in questa non dimensione riacquistiamo la nostra vera identità
buon andare per grotte