E’ in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta …
Scosto le tende e mi si apre alla vista un cielo cupo gonfio di nuvole dense e pesanti. Deve aver piovuto tutta la notte, le strade sono bagnate e un vecchietto passeggia riparandosi sotto un grazioso ombrello colorato. Solitarie pennellate di luce in questo grigiore “pre-invernale”. È il 24 aprile.
La pioggia si fa via via più insistente, tic—tic–tic-tic tictictictictitictic, fino a sintonizzarsi con le lancette del mio orologio. Il mio sguardo cala sull’ora. E’ tardissimo! Dépeche-toi Paola!
“If you start me up..
If you start me up i’ll never stop
If you start me up..
If you start me up I’ll never stop
I’ve be running hot
you got me ticking gonna blow my top … na na na naaa … la la la laaaaaa….”
Sulle note dei Rolling Stones io e Giulio ci avviamo verso Caltrano. Il ritrovo con Michela è previsto per le 8.30 ma all’arrivo si decide di rimandare la colazione direttamente a Cesuna: tra mezz’ora il costo diventerà una pista da corsa e le auto di rally stanno già scaldando i motori.
Anche noi!
Siamo a qualche chilometro da Cesuna e stiamo per addentrarci in una delle grotte tra le più profonde del Veneto: la Voragine Giacominerloch (-600m).
Lasciate le macchine in uno spiazzo lungo il ciglio della strada ci apprestiamo a cambiarci. L’arietta fresca mi scompiglia i capelli e cerco di sentire in pancia tutta l’adrenalina che accompagna ogni mia avventura nelle profondità della Terra. Mi vesto con calma e meticolosità. Controllo tutto e mi lascio controllare dai miei compagni di avventura, Michela e Giulio. Siamo pronti – l’avventura sta per cominciare!
Dal piccolo spiazzo seguiamo un sentiero che entra nel bosco e dopo poco ci troviamo nelle vicinanze della grande depressione sotto il quale si apre la Voragine Giacominerloch. Il bordo dell’inghiottitoio mi ricorda un antico imbottavino dove l’acqua rotola, scorre in quello smisurato recipiente sottostante. Nell’antico cimbro parlato dalle genti dell’altipiano, il“Loch” è un tipo di sprofondamento carsico che abbonda in un terreno ricco di carbonati e che dà luogo a paesaggi impressionanti come questa voragine.
Fisso la corda ad un robusto pino e mi calo lentamente lungo lo scivolo di accesso alla parete verticale, che in poco tempo, mi conduce ad un muretto di roccia sulla sinistra. La cavità si sdraia fedele ai miei piedi. Ancoro la corda ad una serie di attacchi e do il “Li-be-ra” a Giulio fino al prossimo frazionamento.
La mia voce genera un’eco monumentale che abbraccia calorosamente l’ampio pozzo, intrufolandosi in ogni fessura e in ogni particella d’acqua, lungo le massicce pareti fino a raggiungere i miei compagni….chiudo gli occhi e immagino di trovarmi in un’enorme cattedrale.
Il canto di Giacomina giunge alle mie orecchie e un brivido di freddo mi percorre la schiena. Proviene dalle più remote profondità….avrei voglia di incontrarla, darle la mano e chiederle di accompagnarmi nel suo mondo fatato.
Sto penetrando il vuoto, mi culla leggera tra le sue braccia, cerco di assaporare ogni attimo di questa discesa. Chissà magari Josele è seduto sui bordi della dolina e come me sta ascoltando la voce soave e delicata della fanciulla che canta del suo mondo sotterraneo, delle meraviglie del Giacominerloch, del regno dei laghi.
Intanto Giulio e Michela mi raggiungono, intrattenendosi con chiacchiere e leggende speleo.
Selfie? E Giacomina?
Superiamo il primo pozzo e giunti in un enorme salone, imbocchiamo un meandrino che stacca subito a sinistra. Il Giaco inizia fin da subito a svelare le sue bellezze…credo che meandri così ben lavorati non ne ho mai visti ed è solo l’inizio. Giulio arma il corrimano e il successivo pozzo che termina su una forra discendente. Decidiamo di apportare qualche modifica all’armo preesistente in maniera da agevolarne una futura progressione.
La discesa è entusiasmante, il buio e il vuoto ormai fanno parte di me e credo proprio che il Giacominerloch sia una di quelle grotte che vada corteggiata come Josele ha fatto con Giacomina e per accendere un’intimità si sa, ci vogliono attenzione, lentezza e serenità. Gli sorrido timidamente, la mia avanzata è lenta, il panorana cambia ad ogni angolo, mi lascio stupire, accedo a situazioni inattese…tipo..un termometro che segna 4 gradi? Eh si…non sto sognando, provo a contarmi le dita, sono sempre cinque.
Un’ampia forra si apre davanti ai nostri occhi, è ampia e il fondo è costituito da uno strato coerente di ciottoli arrotondati e levigati dall’acqua che scorre incessante. La superiamo fino a sbucare in un enorme salone (fino agli anni 70 le esplorazioni sono terminate proprio qui). Siamo già a – 140m.
A questo punto a sx, per mezzo di una corda fissa, risaliamo uno scivolo di argilla che ci conduce ad una colossale e impressionante frana. Ci fermiamo a mangiare un boccone, è sempre interessante fermarsi a riposare con uno speleo, in questi momenti si apprende una vagonata di cose, di imprese straordinarie, soccorsi in grotta, tecniche di armo, basta fare domande Paola…si riparte.
Prendiamo la via per il fondo e scendiamo sul lato dx, intrufolandoci tra i massi di crollo, il tutto è molto instabile e io procedo con lentezza. Il mio passo diventa quasi una danza e mi lascio guidare dalle indicazioni di Michela che con la sua forza e vitalità non si può non seguirla. Primo comandamento non muovere sassi, siamo in piena frana! Dopo svariate imprecazioni supero una fessura in discesa piuttosto delicata e ci lascio pure qualche chilo di sudore!Il timore che i piedi si incastrino in qualche fessura non mi dà pace, non voglio ritrovarmi dei piedi caprini rovesci! Oltrepassiamo la frana e ci addentriamo in un lungo meandro molto fangoso che ci conduce diretti all’imbocco di un pozzo.
Le corde iniziano ad essere fangose e scivolose e la mia progressione si affatica inevitabilemente. Giulio ha sempre una parola di conforto al momento giusto, una vera benedizione. Mi sento sicura e in buone mani. Cara Giacomina, il tuo Regno è fantastico, le cascatelle, i meandri scolpiti, le muffe stile Burri ..
La nostra avventura termina in testa al pozzoVittorio a – 180m, qui decidiamo di tornare verso l’uscita dopo una pausa rigenerante con un buon tè caldo preparato da Giulio.
Esco felice.
E’ in un giorno di pioggia che ti ho conosciuta, e
il vento dell’ovest rideva gentile
in un giorno di pioggia ho imparato ad amarti
mi hai preso per mano portandomi via.
E in un giorno di pioggia ti rivedrò ancora
e potro’ consolare i tuoi occhi bagnati.
La pioggia mista al profumo di sottobosco, bagna il mio volto e riempie le mie narici, assaporo l’attimo dell’uscita e adesso sarò io a dare voce ad un canto nostalgico … resuscitando le meraviglie del Mondo sotterraneo di Giacomina.
E mo che famo? Namo a la Svegas? Daje che la Pia ce spetta oh!
Fuocherello, calduccio, birrozza, pizza ai carciofini, le mie due fantastiche guide Michela e Giulio….. cosa voglio di più dalla vita?
Aspetta che conto le dita della mano …. ma .. ops … sono sei???
heila! bell’articolo.
e come per magia sono comparse le foto nell’articolo.
sarà stata Giacomina…
Bellissimo racconto, brava!
proprio una bella uscita… la tosa lenta ma lenta.. ma per fortuna le cose le sa!!!! Ma avete fatto caso alle foto??? 2 Donne contro un Uomo??? prima volta che succede… can dal porco!!!!!!
Oh, Benemerita: cossa seo l’imbottavino? Ma che lingua parlito? Ma chi te gà insegnà ste paroe?
Scusi Sign. Gianki, se la tedio, ma vò dirle oggi che mio nonno Andrea imbottava il vino, quando il Sud era terra da vino sfuso da tola, un poco imbriago, avvinazzato…usava l’imbottavino per travasare il vino nella botte. Era un semplicissimo imbuto ricavato dal legno e scolpito dalle sue belle mani. Se mi concentro, credo di percepirne ancora il profumo.
Gheto capio chi me gà insegnà ste paroe?
Ah ben, ma disi imbuto, no?